Le lacrime

Qualche settimana fa lessi che il virus, questo virus, era stato trovato anche nelle lacrime di alcuni pazienti. E mi era venuto in mente questo racconto.

“Le prime apparvero all’alba in periferia. Gli addetti alla spazzatura ne trovarono una decina in un prato. Grandi bolle sgonfie, meduse traslucide, alcune ovali, altre oblunghe, di forma irregolare, come un frutto flaccido e malformato. Quello che colpì i primi scopritori fu che dentro alla materia opalina, lattescente, di alcune di esse sembrava apparire, a tratti, l’ombra di un volto, o l’istantanea di una scena, e qualche volta dall’interno esalava un lieve suono, una voce remota.
Le autorità presero in mano la situazione. Le lacrime, o lacrimoidi, come furono subito battezzate, vennero esaminate: dall’Istituto di medicina legale, dalla facoltà di Zoologia, e segretamente, da un laboratorio militare specializzato nello studio di apparizioni aliene. Corse la voce che potessero essere pericolose uova marziane, pronte a schiudersi e scatenare un’invasione. Ma le analisi stabilirono che non erano forme di vita, almeno come noi le intendiamo. Non avevano organi né metabolismo, erano inerti, formati da materie terrestri però combinati in modo assai strano; né minerale né vegetale, qualcuno disse primordiale, senza saper spiegare di più.

Studiarle a fondo non era facile: se si cercava di penetrarne le pareti svanivano, riducendosi a una goccia che evaporava in pochi istanti. Alcune si dissolsero sotto gli occhi degli scienziati, quasi non sopportassero neppure uno sguardo indagatore.
Il giorno dopo, un centinaio di lacrimoidi furono segnalati in varie parti di quella città. Chi le trovava confermava che si potevano toccare, ma appena si provava ad aprirle, si dissolvevano. E svanendo esalavano nell’aria rumori simili a voci umane, e sprigionavano riflessi e colori, schegge di aurora boreale. Ma nessun registratore o telecamera riusciva a catturare il minimo suono o immagine.
Non erano urticanti, né velenose, né tossiche, stabilì l’apposita commissione scientifica. La conclusione era quindi che, con ogni probabilità, si trattava di grosse, anomale gocce di pioggia, che l’inquinamento aveva reso mutanti, mostruose. Non era escluso che contenessero qualche tipo di gas sconosciuto, in grado di causare lievi allucinazioni uditive o visive.
Inutile dire che su stampa e televisione uno sciame di esperti si scatenò a ipotizzare e teorizzare, anche perché la città era ormai invasa dai lacrimoidi. Per gli scienziati erano il frutto inquietante dell’incombente marasma climatico. Per i fanatici religiosi erano un avvenimento soprannaturale. Per i politici erano il risultato della dissennata politica ambientale della parte avversa. Per gli intellettuali erano materiale poetico scadente, anzi meraviglioso, anzi indicibile, e la polemica li torceva in liti interminabili. Un giovane medico scrisse in un articolo di aver notato una particolarità. Molti, quando si avvicinavano alle lacrime, erano colti da una sottile malinconia. Non paura, né angoscia, ma l’indefinibile sensazione di ritrovare qualcosa di conosciuto. Una confusa nostalgia.
La reazione della scienza ufficiale fu secca: da sempre la suggestione crea fantasmi, che poi svaniscono alla prima prova empirica. Goccioloni di pioggia, e basta!
Ma le rassicurazioni non bastavano. Di giorno in giorno i lacrimoidi si moltiplicavano, i camion ne scaricavano centinaia nell’inceneritore fuori città, anche se sarebbe bastato farle scoppiare. Si temeva il mistero della loro fragilità o qualche oscuro contagio?
La città accolse inizialmente con piacere i turisti in visita. Fu allestito uno speciale parco, con vasche in cui i lacrimoidi erano esposti, con giochi di luce e musica. Ma dopo neanche un mese, la moda turistica svanì. Migliaia di portachiavi di plastica molliccia restarono invenduti. I comici non li usarono più nelle loro battute. Nessuno sapeva più cosa pensare di loro. Continuavano a moltiplicarsi, e la gente cominciava a detestarli. Prenderli a calci e farli scoppiare divenne per teppisti vecchi e giovani uno sport abituale, anche se c’era una multa.
Ma non tutti li odiavano. Qualcuno, preso da una strana attrazione, li teneva in casa. Una donna si buttò da un tetto stringendone uno tra le braccia, e subito si sostenne che avevano un potere malefico. I giornali ebbero l’ordine di non parlarne più… Bisognava dimenticarli.
Una sera, mentre uno scienziato più cocciuto degli altri stava studiando una lacrima che aveva trovato nel giardino, entrò il figlio di sette anni. Osservò con attenzione e disse: “Io so cos’è!”.
Lo scienziato rise. “Non ridere, papà – disse il ragazzo – Quello è un sogno. È il sogno che mi hai raccontato di quando volevi andare a lavorare su quell’isola, per studiare le malattie degli indigeni. Vedi, dentro si vede, il mare e l’isola. Se ascolti, puoi sentire le voci di quegli uomini lontani. E questo, – disse indicando col dito una parete del lacrimoide – sei tu”.
A quelle parole, la lacrima si ingigantì, divenne quasi sferica, e per un attimo fu visibile allo scienziato il sogno intero, il paesaggio e i volti.
Sulle prime l’uomo non volle convincersi. Ma poi, guardando attentamente e a lungo, alla luce del tramonto, vide chiaramente dietro la materia opalina l’immagine di una donna che aveva amato. Così capì: i lacrimoidi erano sogni trascurati, mai coltivati con cura, mai seguiti con passione. Sogni perduti senza combattere, sogni buttati via.
Lo scienziato ne parlò con il suo capo. Quello si arrabbiò, sembrava che quell’idea lo sconvolgesse. Disse che ormai i lacrimoidi stavano diminuendo, non valeva la pena di rinfocolare l’interesse. Guai a lui se diffondeva quella assurda teoria.
Infatti i lacrimoidi scomparvero. Anche l’ultimo, chiuso in una teca del museo, si dissolse.
Poi, una mattina, la città si ritrovò immersa dentro una grande bolla trasparente. La gente respirava a fatica.
E volti, parole, iniziarono ad appannarsi…
Le Lacrime | Stefano Benni