Rivoluzione, sia come sia!

In questo momento è facile fare demagogia. Qualsiasi persona di buon senso sa che, ciò che accade, è pura follia! Immaginare di lasciare un Paese seppure ingovernabile come il nostro in balìa di una crisi politica ed istituzionale è una catastrofe. Non che con questo governo si stia molto meglio, anzi. Se siamo al punto in cui siamo è evidente che la catastrofe era già alle porte, nei fatti: dall’incapacità di affrontare armati l’inizio della pandemia a gennaio scorso, alla inettitudine di costruire un piano credibile, articolato, visionario per il Paese che verrà. Passando dal non avere la forza di chiudere le discoteche quando andavano chiuse e riaprire le scuole quando andavano riaperte! Non c’è niente per cui, oramai da un anno, mi sia sentito governato. Se non il totale lockdown dal 27 febbraio al 4 maggio. Ed è questo il punto più grave che a me pare necessario sottolineare adesso. Con lo spettacolo che il Capo del Governo, il Governo, il Parlamento hanno dato nelle ultime tre settimane, chi di noi prenderebbe sul serio l’ipotesi di una nuova chiusura totale del Paese in caso di recrudescenza del contagio?! Chi avrebbe l’autorità morale per “ordinarci” di stare a casa?! Spendere 200 miliardi ed indebitare i nostri nipoti per i prossimi 30 anni significa condannarli ad una esistenza sociale peggiore, molto peggiore, della nostra. Ma pare che questo sia del tutto insignificante. Il nostro problema è il pubblico di Sanremo! Ascoltando i rappresentanti del popolo nei giorni del dibattito parlamentare sulla fiducia, si è nettamente percepito come questa sia la peggior classe politica che ci è capitata nel peggior momento vissuto dal Paese dopo la guerra. Il bello è che non hanno fatto niente per nasconderlo che sono chiaviche! Il silenzio li avrebbe aiutato. Ma hanno l’arroganza di parlare senza dire nulla. Ho abbandonato la parola “rivoluzione” da più o meno 40 anni. Ho cercato di coniugarla aggiungendovi “culturale” nel frattempo. Ma non ha funzionato neanche questa, tanto che i luoghi della cultura – parola che peraltro detesto perché priva di qualsiasi significato oggettivo – restano chiusi e improduttivi checché tanti si sforzino per inventarsi surrogati. Ma i surrogati restano tali.
Io esorto i ragazzi a prendere in mano il proprio destino! Toccherà a loro pagare i debiti, ai loro figli… Che pretendano almeno un Paese migliore di questo! Lo esigano, si organizzino in tutte le forme di lotta necessarie. Non lascino a noi adulti il compito di progettargli il futuro perché glielo faremmo con lo sguardo rivolto al nostro ombelico!
Ribellatevi che noi siamo troppo impegnati a prendere le distanze gli uni dagli altri. Almeno un metro!
Quanto a me, se il mio Paese si presenterà alle Olimpiadi senza bandiera e senza inno, chiederò l’incriminazione di Grillo.