Come una Liberazione!

L’epidemia ha insegnato a tutti che violare l’intimità del prossimo è facile, la distanza è sacra, la confidenza è un risultato e non un regalo.

Ho letto stamani questo bell’articolo su LINKIESTA di Simonetta Sciandivasci. In realtà il titolo dell’articolo si determinava di affrontare un tema specifico: ll coronavirus cambierà il modo in cui gli uomini si relazionano con le donne è la tesi di partenza.
Ma mi è servito per riflettere su come – se ne parla sempre più spesso nelle conversazioni tra gli amici/che che hanno la bontà di chiamare o chattare con me per riempire i vuoti quotidiani – cambieremo tutti noi sopravvissuti a questa tragedia.
E non tanto dal punto di vista dei cambiamenti che saranno imposti dalla inevitabile mutazione delle condizioni economiche che, tranne alcune eccezioni (Russia e Cina innanzitutto), devasteranno il resto del mondo, e neanche – si spera – per una diversa presa di coscienza su come organizzare il Paese e renderlo più efficace a partire dall’affrontare emergenze sanitarie che, come si vede, siamo impreparati ad aggredire.
Come cambieranno i rapporti interpersonali?
Questo momento, passato, ci lascerà il segno che ognuno ha una sua dignità da conservare. Ha la propria solitudine e che, persino fra moglie e marito c’è un abisso e bisogna averne rispetto?!
Facile supporre che nel momento in cui ci verrà dato il “liberi tutti” vorremo scendere in piazza per il gran ballo collettivo! Un carnevale (mi viene in mente il Pantagruel di Rebelais) liberatorio che metta insieme quello che non abbiam celebrato quest’anno, pasquetta, li 25 aprile, il primo maggio e chissà che altro ancora!
Ma poi?! Passata l’ebbrezza?
Vorrei credere, e mi piacerebbe fosse così davvero, che dopo questa nuova liberazione, passati i carri armati che lanciano sigarette e cioccolata, ci si ricordi dei giorni di “guerra”. Anzi, ci si ricordi della guerra! Per uscirne così come i nostri padri e nonni uscirono dall’altra guerra. Innanzitutto ricordandosene. Nel racconto che per esempio è arrivato alla mia generazione. In fondo sono nato solo 15 anni dopo la fine della guerra!
Ecco, porteremo dentro di noi questo tempo da ricostruire e del quale riappropriarsi, che sarà raccontato dai miei figli ai miei nipoti. E solo questo racconto ci potrà forse consentire di ripensare ai nostri rapporti interpersonali e collettivi.
Poi, quando la memoria sarà svanita coi testimoni oculari, è probabile che si ritorni a dimenticare!