La memoria del tocco

Quando tutto questo sarà finito, la prima cosa che vorrò fare sarà toccarti! All’inizio di quest’avventura ci hanno detto che manco la nostra faccia, gli occhi… potevamo toccare. Figurarsi toccare te. Darti la mano. Accarezzarti. Tenerti. Abbracciarti. Stringerti. Spingerti. Farti il solletico. Cingerti. Batterti sulla spalla per incoraggiarti o per farti sentire che sono lì, con te.
Le mie giornate di laboratorio cominciano e finiscono sempre con un grande cerchio nel quale tutti si tengono la mano. Ad occhi chiusi… “sentite il compagno”, esorto io!
Il tocco ha una memoria diceva Keats.
Ragionevole… Ma la mia si sta affievolendo!
Perciò mi manca toccarti. Mi è necessario toccare le persone con le quali entro in sintonia. Se, prima prima, lo sguardo ha funzionato! Certo perché se mi sento fuori luogo, in imbarazzo, distratto, annoiato, disturbato, incazzato… non riesco neanche a guardarle negli occhi le persone che ho difronte per la prima volta. Figurarsi aver la voglia di toccarle.
Per esempio toccare un neo… o una ciocca di capelli fuori posto. O stringere forte un braccio.
Il fatto è che toccarsi, anche involontariamente come può accadere, spesso suscita un groviglio di reazioni psichiche intorno all’essere toccati da qualcosa di estraneo: ci conferma forse la nostra labilità o suscettibilità, qualcosa di profondo, insidioso, che ha a che fare con ciò che ognuno di noi ha stabilito: i confini della sua stessa persona!
Che oggi, in questa tragedia, si sono allargati alla nostra casa…
Ed allora, quando un giorno tutto questo finirà, usciremo – spero – dai nostri confini con un desiderio così acuto di toccarci che è diventato disperazione!