La dichiarazione

Questi primi inconsistenti approcci con le ragazzine, mi fecero prendere una decisione importante.
Avevo coscienza che cominciavo – cominciavamo –  a vivere il rapporto con l’altro sesso in maniera meno spontanea.
Fino ad allora si faceva gruppo, maschi e femmine insieme, senza limiti mentali direi con un termine che avrei conosciuto solo dopo, finché… finché si cerca un rapporto “privilegiato” e capisci che l’interesse per l’altro sesso ha sintomi precisi.
È a quel punto che sei costretto a fare i conti con una parola pressoché mitica: “la dichiarazione”. Una pratica disumana!
Se una ragazza ti piaceva, anche se la conoscevi e frequentavate gli stessi posti, che in pratica erano la stessa scuola o l’associazione cattolica e basta, il cliché prevedeva che dovevi “fermarla” – preferibilmente in mezzo al corso del paese la domenica sera – e poi farle questa maledetta dichiarazione! Se non la conoscevi, cioè l’avevi solo notata per strada, era uguale.
La pratica aveva i suoi apici nei giorni delle feste di paese. Con la bella stagione a fare da contrappunto a questo impulso del cuore e… dei sensi!
Si cominciava a Pasqua, poi c’erano tutta una serie di feste di paese fino a quella del Santo Patrono ad inizio agosto. Poi il paese si fermava. Chi poteva andava in vacanza e ci si rivedeva a settembre.
Le ragazzine stavano fuori fino a tardi. Noi, con i nostri vestiti nuovi fatti apposta per la festa, cercavamo tra la folla fitta da perdersi di vista, la preda. La si seguiva in attesa del momento buono che, se non avevi il coraggio necessario, poteva arrivare dopo ore.
Ne ho accompagnati tanti a fare su e giù per il corso in attesa del momento buono.
Quando si trovava il coraggio si fermava la ragazza chiedendole: “scusa, ti posso parlare?”.
Se lei diceva sì, allora i due si staccavano di qualche passo e tu ti aggregavi alle amiche di lei. E si continuava a fare su e giù. Il tempo?! Dipendeva dall’esito di quel “parlare”. Pochi metri, o dieci, venti minuti buoni (in questo caso un successo!).
Bisognava sempre andare in numero compatibile alla parte contrapposta. Tipo, se lei passeggiava con due amiche, allora tu dovevi portarti due amici che poi avrebbero fatto il paio con le amiche di lei…
E se lei diceva “no”!?
Ecco, quello era il vero dramma. Perché ad una domanda precisa, c’è solo una risposta precisa: ti posso parlare? No! Finito. Mesi di sogni ad occhi aperti, desideri, turbamenti… NO!
Perciò decisi di non provare mai a fermare per strada una ragazza che mi piacesse.
Cioè, è capitato una volta sola. Una di quelle ragazzine che facevano parte del giro della mia torre d’avorio. Avevo solo quella possibilità: fermarla per il corso. “Ti posso parlare?” “No!”
Mai più, giurai a me stesso!

I giardini di marzo | Lucio Battisti | 1972

“Ora mi sento come se stessi aspettando qualcosa che so non arriverà mai…
Perché adoro illudermi e sperare, ti senti più vivo mentre lo fai.” (Charles Bukowski)

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