Vien di notte…

Non è che avevamo molto da scegliere per la nostra Befana!
Pistole, fucilini… una volta l’arco con le freccette con la ventosa, che papà non capiva perché volessi fare l’indiano anziché lo “sceriffo”!
Il regalo più bello che ricordo – avrò avuto 6/7 anni – fu una macchinina rossa con le pedivelle da spingere per andare… Faticosissimo, ma ambito. Tanto che non credo fosse stato un regalo di mio padre, ma forse degli zii… dello zio “capofamiglia”.
Eravamo poveri. Cioè umili. Vivevamo come una grande famiglia con quella d’origine di mio padre. Anche se abitavamo in una sorta di dependance a meno di cento metri dalla grande casa che ospitava i nonni, due zii non sposati e due zii giovani… che poi si sarebbero sposati. Dall’altra parte della strada ultimata agli inizi degli anni ’50 (la mitica statale 18 che collega Napoli con Reggio Calabria), c’era la “terra” che lavorava papà… tanta. Si estendeva dalla casa dei nonni, passava di fronte casa mia e andava ancora, fin all’altezza di Santa Chiara.
Comunque, questa cosa della Befana era l’unico compito relegato a mio padre da mia mamma. Non lo so perché. Boh… ci penso adesso.
Quando ero un po’ più grande, ci vestivamo bene e andavamo, io e lui la sera prima della Befana, a scegliere il regalo che volevo.
C’erano le bancarelle coi giocattoli illuminate con grandi lampadine e sembrava davvero una festa!
L’ultima “befana” che mi ricordo fu un fucile a piombini. Gialli. Che nel cartone a cui sparavo lasciavano proprio il buco. ‘O anema bella!
Poi, a nove anni, la fidanzata di mio zio e la mia zia più anziana insieme, mi regalarono un pacco di libri. Erano libri che la parrocchia aveva preso credo in una sorta di stock. Non erano libri famosi. E manco lo so perché la chiesa fece quella cosa. Fatto sta che mi trovai questa decina di libri in dono. Fino ad allora gli unici libri che avevo letto erano quelli della scuola.
Il primo titolo che mi colpì fu “Cioccolato e caramelle”. Non lo so chi l’avesse scritto… l’ho cercato, lo cerco tutt’ora talvolta… ma niente! Solo che quel libro mi cambiò la vita.
Era una storia triste di un ragazzino povero, costretto a vendere bibite e dolciumi nell’intervallo dei film in una fumosa e decadente sala cinematografica.
Vabbè, scantono come sempre.
Comunque, da quel momento in poi, i regali che volli furono libri. E poi dischi.
E ancora sono quelli che preferisco in dono.
Ed è da allora che i poveri, gli ultimi, sono quelli che ho a cuore; divenne Garrone il mio idolo (prima del Che!): i Malavoglia, Fontamara, Gente di Aspromonte, Cristo si è fermato ad Eboli… Perciò sono fatto così male!