Lampedusa si muove

Misero in piedi lo stesso ambaradan che era servito per raddrizzare prima e poi smuovere la grane nave e trasferirla dall’Elba al porto di Genova. Cassoni per il galleggiamento enormi… e il povero sindaco che gridava: “non serve, non serve… galleggiamo già di nostro!”
Ma niente, il team internazionale non sentiva ragioni: il protocollo doveva essere replicato alla lettera. Furono giorni frenetici di un lavorio delicato ed instancabile. I grossi cavi d’acciaio si tendevano sempre più!
Gli indigeni avevano il magone… le partenze suscitano sempre un gran magone.
Ma in realtà non era tanto la nostalgia a prendere il sopravvento, piuttosto il rammarico per non essere riusciti a vedere l’apertura del casinò che anni prima un buffo ometto atterrato lì per caso (o per sciagura) aveva loro promesso.
“Non era destino, non era destino…” ripeteva il vecchio pescatore in un dialetto quasi incomprensibile. Quando tutto fu pronto il prefetto fece dare il segnale: i tre squilli di sirena sembrarono un lamento straziante. Il silenzio s’impadronì dell’isola.
Il comandante della capitaneria di porto diede l’ordine di ammainare il tricolore.
“Minchia, manco la bannéra avemu…” disse il vecchio (quello di prima, l’unico che avesse ancora voglia di parlare). “Simu clandestini…” gli sussurrò la moglie portandosi l’indice al naso per intimargli silenzio.
Erano le 6.50 di un’alba a suo modo tragica. Si sentirono scuotere, barcollarono, qualcuno finì a terra, ma alla fine Lampedusa cominciò a muoversi… prima lentamente, poi con una fluidità quasi insperata e… si allontanò!
A bordo della nave ammiraglia che incrociava al largo scoppiò un applauso tra le autorità presenti: finalmente da oggi il futuro sarebbe stato radioso!

P.S.:
Sono passati dieci mesi da quel giorno e, nonostante i satelliti, l’isola sembra svanita nel nulla.

(da "Favole inutili" di C. Califano ©) 14 novembre 2014