Quarantesimo giorno di lockdown

Sono 40 giorni esatti che non esco di casa con oggi.
La mia quarantena è finita. Non l’amarezza, mi accorgo.
Ho cercato, in questo tempo, di farla defluire depurandola da ogni angoscia, da ogni rancore per quel che non è più possibile e mai più lo sarà!
Niente. Sarà che di fronte al nulla che ci si prospetta davanti, l’angoscia è la risposta più naturale, come scriveva Heidegger.
Quando torneremo ai nostri piccoli attimi di felicità?
Non è dato saperlo. Il caffè al bar. La pizza. Il cinema. Quel viaggio…
È come se, all’improvviso, la vecchia paura dimenticata ritornasse a far sentire il suo strano brivido.
Se prendo la morte nella mia vita, la riconosco, e l’affronto a viso aperto, mi libererò dell’angoscia della morte e dalla meschinità della vita, e solo allora sarò libero di diventare me stesso.
Me la sono cavata così per quasi 30 anni. Ho dovuto farlo per necessità. Per sopravvivere!
Perché adesso non vale più? Perché sono felice? Perché sono invecchiato?
Poi, d’improvviso, stamattina mi ha svegliato un profumo. Non lo so se fosse il rimasuglio di un sogno o perché ne avevamo parlato qualche giorno fa: quella colazione di fronte al mare con quei pasticciotti che eravamo andati a cercare fino a Galatina, là dov’erano stati “inventati”!
Ecco. La bellezza!
Mi manca quella. Solo riprendendomi quella, riscoprendone il senso – forse modificato, coniugato, adattato ai nuovi tempi – potrò annacquare l’angoscia, riempendo la prossima quarantena di un nuovo desiderio di vivere. Forse.