Rapporto 2020 Corte dei Conti. Dati relativi al Reddito e Pensione di Cittadinanza

Leggere questo rapporto non è inutile o banale se consideriamo che un partito ci ha vinto le elezioni e che in virtù di quella vittoria (ora dimezzata nei consensi) ha la maggioranza di Parlamentari che si sta perdendo per strada.

«Con riferimento ai dati relativi al 2019 i nuclei familiari raggiunti dal programma sono stati 1.041.000 (compresi i beneficiati di Pensione di cittadinanza) con il coinvolgimento di poco più di 2,5 milioni di persone. Nuclei che vivono prevalentemente nel Mezzogiorno (60,6%), che sono per il 36% monocomponente e che per l’88% hanno un capofamiglia con cittadinanza italiana. Si registra la presenza di minorenni nel 36% delle famiglie beneficiarie, mentre nel 21% sono presenti persone disabili. L’importo medio del beneficio economico erogato dal programma è pari a 532 euro mensili (392 euro monocomponenti, 625 euro famiglie con 5 componenti).

I risultati sono al di sotto delle stime previste (1.248.000 famiglie e circa 3,5 milioni di persone da sostenere). Secondo valutazioni preliminari, grazie al RdC il tasso di povertà assoluta potrebbe essersi abbassato di 1,5 punti (dall’8,4 al 6,9%). Effetti sarebbero stati registrati anche in termini di distribuzione del reddito: l’indice di Gini, che ne misura il grado di concentrazione, si è ridotto al 31,4% (32,5 nel 2018). Oltre agli aspetti quantitativi (per esempio un tasso di coinvolgimento dei nuclei familiari inferiore agli obiettivi), l’ammontare di risorse appare sbilanciato a danno dei nuclei numerosi e con la presenza di minori e disabili. Non vi è un tasso di coinvolgimento delle famiglie con cittadinanza diversa da quella italiana proporzionato alla diffusione della povertà in tali segmenti di popolazione. Il ruolo dei servizi sociali dei Comuni, rispetto a quello dei Centri per l’impiego, può crescere di molto. Maggiore potrebbe essere il coinvolgimento, nella gestione del programma, del terzo settore. In seguito all’emergenza epidemiologica da Covid-19 andranno probabilmente meglio tarati alcuni aspetti, garantendo anche un adeguato coordinamento tra RdC e le misure varate a contrasto delle difficoltà economiche generate dalla crisi sanitaria a partire dal Fondo per il reddito di ultima istanza. Affinché allo strumento possano essere assegnati anche compiti di contrasto temporaneo di situazioni di disagio economico come quelle conseguenti all’emergenza in corso, resta cruciale la possibilità che l’ISEE sia rapidamente aggiornabile, sì da essere in grado di fotografare l’effettivo stato di bisogno delle famiglie. Per quel che riguarda il secondo pilastro del RdC, quello finalizzato a promuovere politiche attive per il lavoro, i risultati appaiono al momento largamente insoddisfacenti e confermano le perplessità avanzate dalla Corte al suo avvio. I dati a disposizione evidenziano che alla data del 10 febbraio 2020, i beneficiari del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda sono circa 40mila. Soprattutto, non si intravvedono segni di un maggiore dinamismo dei Centri per l’impiego rispetto al passato. Elaborazioni della Corte sui microdati delle rilevazioni trimestrali sulle forze di lavoro (situazione di fine settembre 2019) confermano la persistenza delle caratteristiche deficitarie dei CPI: a) resta modesta, pari al 23,5%, la quota di persone che, nell’anno terminante a settembre, hanno cercato il lavoro tramite i Centri (23,3% a fine 2018); b) risulta estremamente limitata, pari al 2,2% la quota di persone che hanno trovato lavoro tramite i CPI; c) si conferma predominante il ruolo dei canali informali (parenti, amici e conoscenti) nella ricerca del lavoro (l’87,2%, contro l’87,9% nel 2018). Sono dati che mostrano come permangano elevati gli spazi di miglioramento che l’Italia ha nel campo dei servizi per favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e come la meritoria sfida del rilancio dei Centri per l’impiego resti da vincere».