Se bruciasse la città da te io correrei…

Per una di quelle cose incomprensibili della vita, ieri un gruppo di amici coi quali intrattengo da qualche anno il Laboratorio Espressivo, mi ha mandato il video di loro che, tutti insieme dalla casa alloggio dove vivono, mi – credo – dedicassero questa canzone.
Era venerdì. Il giorno in cui generalmente ci incontriamo.
Oramai non lo facciamo più dal 6 marzo.
Dicevo le cose incomprensibili. E sì, perché loro non potevano sapere che quella canzone del 1969 facesse parte della mia – come si dice – playlist della vita che stavo compilando, prima di tutto questo, per i miei 60 anni.
Vabbè, ma questo non c’entra. Scantono sempre un po’.
Il pensiero è che, se bruciasse la città, io non potrei correre da nessuna parte! O quanto meno non potrei correre da tutti i “te” che amo.
Ascoltando i racconti di chi ha perduto qualcuno in questa tragedia, lo strazio è rivivere la solitudine nella quale la morte per il covid19 fa piombare malati e congiunti.
Francamente mi fa paura più questo, per come lo sento raccontare, che la stessa paura di ammalarsi.
Lo so, è una specie di ossimoro.
Ed allora – se brucia la città – io non vado alla ricerca di chi ha appiccato il fuoco, di quanto alte siano le fiamme, di che cosa riusciremo a salvare da questo incendio…
Io aspetto che l’incendio sia domato. E se posso, se il pompiere mi dice come posso, do la mia mano nella maniera in cui posso, senza alimentarlo, l’incendio!